Io-Persona e inconscio esistenziale

    L’Io-Persona e la strutturazione dell’inconscio esistenziale sin dalla vita intrauterina (1)
    di Antonio Mercurio


    L’empasse maggiore nel quale oggi si trova la psicoterapia nel suo tentativo di diventare una scienza è quello di non aver ancora deciso in quale spazio situarsi nella conoscenza e nello studio dell’uomo, ambivalente com’è nel darsi una derivazione filosofica o una derivazione religiosa o una derivazione scientifica di tipo materialistico o peggio ancora nel non darsi alcuna derivazione e nell’agire pragmaticamente alla cieca, alla ricerca esclusiva del buon risultato, senza preoccuparsi di cercare e di costruire alcuna base teorica, solida e concreta, sulla concezione dell’uomo. 

    Lasciare la situazione in questo stato, significa costruire un gigante dai piedi di argilla e lasciare che crolli rovinosamente ai primi ostacoli o alle prime piogge.

    Gli organizzatori di questo congresso, hanno ben compreso l’importanza cruciale di questa empasse della psicoterapia contemporanea e hanno dato a questo congresso due linee direttive fondamentali per proporre ai congressisti di lavorare alla ricerca di una via d’uscita a questa empasse.

    L’una è quella dello studio dell’uomo a partire dalla vita prenatale, utilizzando, da una parte, l’apporto prezioso della scienza medica per la conoscenza biologica e fisiologica del feto e dall’altra l’apporto non meno prezioso della ricerca clinica, in fase prenatale, condotta dall’Università di Salisburgo e dalla Sophia University of Rome, o da altre scuole, per la conoscenza delle problematiche dell’uomo sin dal primo istante della sua esistenza.

    L’altra linea direttiva è quella di poter unificare questi diversi apporti in una teoria unitaria dell’uomo, che non sia né soltanto filosofica, nè soltanto teologica o scientifica, perché, ormai abbiamo piena evidenza, che l’una o le altre, ora unite ora in contrapposizione tra loro, hanno condotto l’uomo sull’orlo di una totale impotenza e disintegrazione.

    Il tema della mia conferenza appartiene a questa seconda linea direttiva. Mi rendo ben conto del compito difficilissimo che mi è stato affidato e non ho la pretesa di assolverlo con le poche cartelle che vi leggerò. Io mi limiterò a proporvi alcune idee essenziali della mia Teoria della Persona, nella speranza che esse possano esservi utili o nel vostro personale tentativo di unificare quanto ascolterete in questa sede, o nel tentativo di unificare mente e corpo, medicina e psicoterapia e, scopo ancor più importante, nel tentativo di fondare la psicoterapia come scienza.

    È importante adesso precisare quale metodologia io ho usato per costruire la mia visione dell’uomo, perché risulti più chiaro quale sia la strada che io propongo alla psicoterapia perché possa uscire dalla sua empasse nel tentativo di costruirsi come scienza, e la via che io propongo alla medicina perché possa meglio realizzarsi come una scienza umana.

    Pur possedendo una solida formazione filosofica e teologica, nella mia ricerca io ho messo completamente da parte la filosofia e la teologia, perché ho appreso, per lunga esperienza personale, a conoscere la miseria dell’una e dell’altra, poste di fronte alla gravità dei problemi dell’uomo contemporaneo.

    La miseria della filosofia e del suo metodo di lavoro. Quando Cartesio si pone il problema dell’uomo e di come definire l’uomo, il metodo che egli segue è quello speculativo, che è poi quello di tutti i filosofi.

    Egli si concentra e si chiude nei suoi pensieri, come fa ogni buon filosofo e, pensando e ragionando, egli partorisce la sua concezione dell’uomo.

    L’uomo è: res cogitans e res extensa. Per chi non sapesse il latino, traduco: l’uomo è composto di due cose, una estesa, che è il corpo, l’altra pensante, che è la mente.

    È vero che al tempo di Cartesio la parola latina «res» aveva un doppio significato e poteva indicare la substantia, la sostanza, ovvero genericamente una cosa, e una cosa può avere una sostanza o può non averne alcuna.

    Noi diciamo, per esempio, «si tratta di una cosa importante» ovvero «si tratta di una cosa banale», o di una «cosa fantasiosa».

    Ora il nostro problema non è quello di sapere se per Cartesio la mente e il corpo sono una sostanza, cioè una cosa importante e non banale, ma di sapere perché Cartesio ha diviso la mente dal corpo, creando un abisso di separazione tra loro e spaccando così schizofrenicamente l’uomo in due parti, che non riescono più a ritrovare la loro unità.

    Io attribuisco la gravità di questo errore al suo metodo di speculare, cioè al suo metodo di stabilire una verità sull’uomo speculando con la capacità ragionativa e affermando come verità ciò che può essere proposto solo come ipotesi e mai come verità, fino a quando questa ipotesi non è verificata dai fatti e dalla realtà oggettiva. Poiché spesso si dà il caso che la realtà oggettiva stia agli antipodi della realtà fantasmatica e speculativa con cui gli uomini pretendono di definire o affermare cos’è la verità.

    La gravità di questo errore, d’altronde, non è sfuggita neanche allo stesso Cartesio, il quale, preoccupato di salvare in extremis quell’unità dell’uomo che prima aveva distrutto, (e prima di lui ha cominciato col farlo il divino Platone) ricorre all’espediente, altro frutto geniale della capacità speculativa, di proporre la ghiandola pineale del cervello come punto di incontro della fusione tra la mente e il corpo.

    Oggi, anche un ragazzo di liceo è in grado di capire l’assurdità di una tale proposta. Quello, invece, che un ragazzo di liceo può ancora avere qualche difficoltà a vedere è come dalla filosofia di Cartesio è derivata la tragica conseguenza, con l’idealismo tedesco, da una parte di ridurre l’uomo a essere pensante e, col capitalismo e col marxismo dall’altra, di avere ridotto l’uomo a cosa mercificata e mercificante.

    Oggi la vita è diventata una merce e uno scambio di merci. L’uomo è diventato una merce a servizio delle merci. E non mi pare che Marx sia riuscito, pur essendoselo proposto, a salvare l’uomo da questa alienazione.

    Non ho intenzione di scegliere Cartesio per farne un capro espiatono di quanto ci succede. Il mio intento è di sapere quanta parte ha Cartesio e quanta la filosofia in quello che ci sta succedendo.

    Scendo ancor più nel concreto.

    Vorrei che i medici si chiedessero quanta parte di responsabilità ha Cartesio nella direzione presa dalla medicina contemporanea di disumanizzare l’uomo, e di trattarlo come una cosa e non come una Persona.

    Ugualmente vorrei che gli psicoanalisti si chiedessero quale filosofia hanno essi alla base del loro agire, quando riducono l’uomo a puro segmento psichico percettivo e reattivo, spogliandolo della sua dimensione di Persona e di Persona libera, in atto o in divenire.

    Per essi non esiste più neanche il problema di come unificare la mente con il corpo, perché hanno tutto ridotto a psiche e per essi il corpo ha cessato di esistere o esiste soltanto per far parlare l’inconscio, il quale è solo linguaggio e nient’altro! (v. Lacan).

    Dunque:
    Per alcuni siamo solo merce
    e per altri siamo solo linguaggio
    cioè «flatus vocis», cioè nulla!

    Possiamo congratularci con la filosofia occidentale per aver brillantemente ridotto l’essere a non essere!

    E mi sembra che quanto ho detto sin qui sia sufficiente per affermare la miseria della filosofia, in senso gandhiano e non marxiano.

    Ma la teologia ha fatto di peggio.

    Perché è meglio non essere anziché essere, se dobbiamo vedere l’uomo definito come «peccato e corruzione»; come essere parzialmente corrotto o totalmente corrotto, secondo che è visto dalla teologia cattolica o da quella luterana e calvinista.

    E qui il risultato è ben peggiore, perché se nella filosofia è l’uomo che parla dell’uomo, nella teologia è Dio, o la Chiesa, che parla dell’uomo e la credibilità di cui godono Dio e la Chiesa è di ben lunga maggiore di quella di cui gode la filosofia.

    Le conseguenze sono perciò molto più ampie e più nefaste.

    Quello che ha fatto la reigne per separare l’anima dal corpo e per disprezzare e distruggere il corpo è a tutti ben noto e non devo perciò affannarmi per dimostrano. Mi è sufficiente solo ricordarlo. Ma non a tutti è noto quello che ha fatto la teologia per separare l’uomo da Dio, cioè per separare l’uomo dalla sua positività e dalla sua capacità di amare e di compiere il bene per sé e per gli altri.

    Ma se io metto da parte la filosofia e la religione, perché non sono più fonti di verità attendibili sull’uomo, cosa resta all’uomo per conoscere la sua verità?

    Cosa resta all’uomo come possibilità di avere una risposta, se l’uomo si interroga per sapere cos’è l’uomo, per sapere quale definizione dare dell’uomo?

    Quando io mi sono poste queste domande, mi è stato facile vedere, dopo venti anni di studio e di riflessione, la miseria della filosofia e della teologia, ma non mi è stato altrettanto facile trovare dove cercare ancora una possibile risposta.

    Per anni ho cercato incessantemente una risposta. L’ho dovuta cercare e soprattutto, l’ho dovuta costruire, giorno per giorno, pezzo per pezzo, all’inizio con mille dubbi e con mille incertezze e poi con una sicurezza sempre più crescente e con una certezza sempre maggiore che la risposta che costruivo era giusta e che era giudicata giusta non solo da me ma da molti altri. Ed è importante dire che questi altri non dipendevanò da me, non erano miei sudditi, né erano miei adepti e non erano neanche miei fedeli. Io non avevo alcuna autorità su di loro, ero anzi socialmente mal visto perché abbandonavo la Chiesa e l’Ordine dei Gesuiti; abbandonavo le antiche certezze e non avevo nessuna certezza da offrire con l’autorità di un capo o con l’autorità di un grande seguito o di un grande prestigio.

    Oggi perciò posso dire che la mia risposta l’ho costruita e l’ho verificata come esatta con l’aiuto di chi insieme con me ha deciso di cercare e di costruire la stessa risposta di fondo alla stessa domanda di sempre:

    Chi è l’uomo?

    E come definirlo?

    Potrei già darvi la risposta ma aspetto ancora a darvela, perché vorrei che prima vi fosse chiara la differenza, della mia metodologia, rispetto alla metodologia della filosofia e della teologia, nel costruire la mia risposta.

    Essa non è frutto di rivelazione come per la teologia, né è frutto di speculazione solipsistica, come per la filosofia.

    In questa sala ci sono sicuramente molte persone che si preoccupano di seguire nei loro studi e nelle loro ricerche la metodologia scientifica, come valida alternativa da contrapporre alla speculazione filosofica e alla rivelazione teologica.

    Preoccupazione molto giusta che è stata anche la mia. Ma, se permettete, io ho un vantaggio su queste persone e il mio vantaggio è di aver avuto, essendo stato a lungo tra i gesuiti, una solida preparazione filosofica, cosa che spesso non hanno gli uomini di scienza.

    E io ho già descritto come essi dipendano spesso, senza saperlo e senza accorgersene, da una filosofia e come la loro ricerca scientifica sia spesso inquinata da concetti filosofici ritenuti veri e mai messi in questione, e che si rivelano come falsi solo a distanza di secoli.

    Ora, se la filosofia occidentale ha i lati negativi che ho descritto prima, è certo però che essa ha anche un lato positivo ed è quello di saper insegnare a ragionare.

    Ma dalla capacità di saper ragionare a quella di saper mettere da parte inesorabilmente i pregiudizi, a cui ognuno di noi volentieri si aggrapperebbe pur di non perdere le proprie certezze e pur di non precipitare nell’angoscia, c’è ancora un salto da fare.

    Io ho accettato per anni di vivere nell’angoscia, nell’incertezza e nella solitudine e questo non mi è stato dato né dalla filosofia né dalla religione, ma dalla presenza molto forte del Sé Personale e Cosmico nella mia vita.

    Poiché conosco a fondo anche la teologia so che parlandovi del Sé Personale e Cosmico non vi sto parlando di Dio sotto mentite spoglie, ma so anche che non posso darvene qui la dimostrazione scientifica, perché il mio tema centrale è un altro e devo affrettarmi a svolgerlo. Dico soltanto che come il sole non ha bisogno della ricerca scientifica per esistere ma ne ha bisogno per essere conosciuto, così il Sé Personale e il Sé Cosmico non hanno bisogno della ricerca scientifica per esistere ma ne hanno bisogno e tanto per essere conosciuti e riconosciuti. Questa ricerca, oltre quella sull’Io Persona, è uno dei punti cardine dei docenti e degli allievi della Sophia University of Rome. Dunque, entriamo nel vivo della questione.

    So che non ho il diritto di chiedervi di mettere da parte le vostre certezze, siano esse scientifiche, filosofiche o teologiche, quanto alla ricerca e alla conoscenza della verità, ma so che posso invitarvi a farlo almeno per il tempo mentre io vi parlo.

    È difficile farlo, ma potete provarci.

    Posso così proporvi di sostituire alla rivelazione che viene dogmaticamente dall’alto, l’intuizione che viene dal profondo del Sé e alla speculazione che viene dalla mente, separata dal corpo e dal cuore, il ragionamento scientifico che accetta le intuizioni che vengono dal Sé e che predispone un campo esperienziale globale, di mente, corpo e cuore, per verificare, con l’apporto e il consenso di molti altri, l’esattezza e la validità delle intuizioni percepite.

    Questo è il metodo che io ho seguito per verificare il mio concetto di Persona e adesso, fmalmente, posso esporvi la mia definizione di uomo come Persona, in quanto frutto di una ricerca comune e non più solo delle mie intuizioni e delle mie verifiche personali.

    «Persona» è un principio unificatore o disintegratore dell’essere umano il quale è dotato di libertà e identità propria, è fine a se stesso e a nessun altro e i suoi elementi costitutivi sono la capacità di amare se stesso e di amare altri per unificarsi e per conoscere la gioia, come anche la capacità di odiare se stesso e di odiare altri per disintegrare sé, la vita e il mondo.

    Con parole più semplici:

    Persona è capacità di appartenere a se stesso e capacità di assumere responsabilmente la propria vita, o per amarla o per distruggerla, e ciò nella libertà e non nella costrizione, quasi che ci fosse una legge ad imporre all’uomo deterministicamente o di amarsi o di odiarsi.

    Dico che chiunque spoglia l’uomo della sua libertà di assumere responsabilmente la sua capacità di amare e la sua capacità di odiare e lo spoglia della sua dimensione di PERSONA ne fa una cosa, una merce o una vuota parola.

    La libertà di cui io parlo è una libertà limitata. L’uomo spesso non può mutare il suo destino, — prendete, ad esempio, un poliomielitico che resterà tale per tutta la vita, — ma l’uomo può sempre decidere di prendere in mano il suo destino e di piegarlo o ad un progetto d’amore o ad un progetto di odio.

    Questa è la libertà che rende l’uomo Persona, sia nel bene che nel male o al di là del bene e del male, quando è capace di raggiungere le sfere della creatività più alta e quelle delle capacità di autotrascendersi.

    Il concetto di Persona non è un concetto filosofico né teologico né scientifico. È un concetto storico che nasce dalla realtà storica dell’evoluzione umana.

    Il 15 ottobre scorso il Messaggero di Roma riportava la notizia che 20.000 ragazzi, sfilando in corteo per le strade di Roma contro l’installazione dei missili in Europa, gridavano: «vogliamo vivere e vogliamo poterci realizzare come Persone!». Chi ha insegnato a questi ragazzi cosa vuoi dire realizzarsi come Persone? Forse neanche loro sanno chi glielo ha insegnato, ma intanto essi sanno che la loro vita appartiene a loro e non a Reagan o a Andropov, e che vogliono amarla e non distruggerla.

    Mi chiedo se noi pure lo sappiamo o se facciamo di tutto per dimenticarlo e per accettare di venderci o di essere venduti come merce.

    Torno alla mia definizione di Persona, che lo ripeto, è stata costantemente verificata con l’esperienza mia e degli altri e da essa traggo la conseguenza che esiste un IO-PERSONA, soggetto centrale di attribuzione di tutte le componenti visibili ed invisibili dell’essere umano.

    Ora, mentre l’essere umano preso corporeamente e fisicamente è visibile e misurabile, l’IO-PERSONA non io è, e poiché non voglio fare filosofia ma scienza, affermo che esso è deducibile dalle azioni che l’uomo pone in quanto IO-PERSONA. Le azioni che lo rivelano come tale sono di particolare natura. Esse si distinguono e si differenziano radicalmente dalle reazioni che pure appartengono all’essere umano, in quanto dotato di un Io-Psichico e di un Io-Corporeo, e che perciò seguono la legge dello stimolo-risposta e che danno risposte adattive o risposte contrappositive.

    Questa legge è strettamente deterministica e non vi è il minimo dubbio che essa esista e condizioni l’essere umano sin dal primo momento del suo concepimento, strutturandone le sue reazioni e il suo comportamento interno ed esterno.

    Questa legge è quella che permette lo studio sperimentale e la conoscenza scientifica di tutto lo sviluppo dell’embrione e del feto, studio che sarà l’oggetto di molte relazioni di questo congresso.

    Questi studi certamente ci parlano dell’esistenza di un ovulo fecondato. Il problema è di sapere se questi stessi studi ci parlano anche di qualcosa che non è riducibile ad un Io-Psichico o ad un Io-Corporeo. Se cioè essi ci parlano oltre delle Azioni del feto in quanto Reazioni, delle Azioni del feto in quanto Decisioni Libere, e quindi non soggette a leggi deterministiche di reazione e adattamento. E, se così fosse, se è possibile attribuire l’esistenza di queste Azioni-Decisioni all’esistenza di un Io-Persona, dotato di libertà di amarsi o di odiarsi, di libertà di amare o di odiare, sin dal primo momento della vita intrauterina.

    Se la ricerca scientifica, di qualunque tipo essa sia, può assumere una visione antropologica dell’uomo, sganciata e diversa da quella filosofica o teologica, essa può porsi la domanda che io ho posto e può verificare se esiste o meno una risposta affermativa sull’esistenza dell’Io-Persona, come principio unificatore o disintegratore della vita.

    Se la risposta fosse sì, allora potremmo scavalcare il fossato che Cartesio ha posto tra mente e corpo e quello che la teologia ha posto tra l’uomo e la sua capacità di amare.

    Per inciso, non dimenticate che Cartesio si basa sulla teologia e sul concetto teologico di Dio per fondare tutto il suo discorso sul metodo del filosofare.

    Ugualmente, non avremmo più bisogno di ricorrere a fantomatiche funzioni della ghiandola pmeale o a quelle più fantomatiche ancora dell’azione divina della grazia; né fallite le une e fallite le altre, avremmo più bisogno di abbandonarci al nichilismo e alla disperazione o al cinismo.

    Sappiamo che solo la Vergine e Cristo sono stati immacolati e senza peccato sin dal primo momento del loro concepimento, mentre tutti gli altri mortali sono concepiti nel peccato e, dunque, non è possibile postulare per noi l’esistenza della grazia nella vita intrauterina. Questo è quanto dice la teologia.

    Ma se fosse possibile affermare e provare che anche nella vita intrauterina l’Io-Persona del feto è capace di scegliere tra l’amore e l’odio, tra il conservare la vita o il distruggerla, quella propria e quella della madre; se fosse possibile affermare che questa azione di amore non è una Formazione Reattiva ma è una Decisione Libera dell’essere umano, senza alcun concorso di una grazia divina esterna, allora potremmo affermare che questa capacità di amore l’uomo ce l’ha da sempre e per sempre, in maniera autonoma e senza dipendere da alcuno, e potremmo autenticamente sbarazzarci della schizofrenia imposta all’uomo, dalla teologia e dalla filosofia.

    Potremmo allora sapere che cos’è che unifica o disintegra l’uomo, sin dal suo formarsi nella vita intrauterina. E se così è sin dalla vita intrauterina, cosa può impedirci più di sapere cosa è che unifica o disintegra la vita dell’uomo, una volta che è uscito dalla fase prenatale?

    Io mi auguro che sia stato chiaro qual è il punto centrale della questione da me posta.

    Si tratta di sapere se le azioni dell’essere umano sono tutte reazioni deterministiche o se, oltre all’esistenza indubitabile di tali azioni-reazioni, esistono delle azioni di amore e di odio che non siano riconducibili a leggi deterministiche e pertanto debbano essere attribuite all’esistenza di un soggetto centrale, che ho chiamato Io-Persona, il quale, sin dalla vita intrauterina, a partire da un dato momento storico è apparso come acquisizione dell’evoluzione cosmica e dell’evoluzione della specie umana, come capacità di libertà e di scelta tra azioni di amore e azioni di odio e quindi come capacità di unificarsi o di disintegrarsi.

    E chiaro che la mia risposta è sì e che essa è documentata da innumerevoli casi clinici ed esistenziali, ma non è questo quello che conta, in questa sede.

    Quello che conta è che voi vi poniate lo stesso problema e che vi diate la vostra personale risposta o decidiate soltanto di inserire il problema da me posto nella metodologia della vostra ricerca per sapere se c’è una risposta e quale.

    Se voi avete già scelto e deciso che la mia domanda non va neanche presa in considerazione, potete chiedervi se questo lo avete fatto sotto la spinta di motivazioni di tipo deterministico o in piena personale libertà? La risposta non è facile ma vale la pena cercarla.

    Mi resta un ultimo punto da sviluppare: la strutturazione dell’inconscio esistenziale sin dalla vita intrauterina.

    Per inconscio esistenziale intendo un concetto topico - dinamico come di un luogo nel quale sono racchiuse, come sono racchiuse le informazioni in un computer, tutte le reazioni di amore e di odio, proprie dell’Io-Psichico e dell’Io-Corporeo, e tutte le decisioni di amore e di odio, proprie dell’Io-Persona, liberamente emesse a partire da tutti i fatti esistenziali che hanno costellato la vita di ogni individuo, sin dal primo momento del concepimento.

    Prendiamo un esempio concreto. Prendiamo il caso di una madre che si accorge di essere incinta e che non volendo portare avanti la sua gravidanza fa di tutto per abortire e però non ci riesce. Di questi casi ne esistono a migliaia ma ne utilizzo uno che voi tutti conoscete. Quello di Marie Cardinal, che essa ha coraggiosamente raccontato nel suo libro: «Le parole per dirlo».

    Applicando a questo caso la nozione di inconscio esistenziale, da me formulata, avremmo che l’Io-Corporeo di Marie Cardinal, sin dallo stato embrionale ha memorizzato la minaccia della decisione abortiva della madre e il desiderio di questa di veder riapparire le mestruazioni come segno certissimo dell’aborto avvenuto. Avremmo allora che la perdita di flusso di sangue che affligge Marie Cardinal esprime da una parte una minaccia di morte, che è situata nel presente, e dall’altra una minaccia di morte che era situata nel passato, allo stadio embrionale della vita intrauterina.

    Ugualmente l’Io-Psichico di Marie Cardinal memorizza la violenza distruttiva che le viene dalla madre e la rivive psichicamente ed esistenzialmente attraverso tutti gli stadi di angoscia e di disintegrazione che esplodono nel vivere quotidiano.

    Questi sono i fatti e queste soi le reazioni a seguito dei fatti vissuti. Tra le reazioni più importanti potremmo ancora citare tutti i sentimenti di avversione che Marie Cardinal nutre verso sua madre sino al momento in cui si scioglie in pianto sulla di lei tomba.

    Ci poniamo adesso una serie di domande:

    Primo: Tutto l’agire di Marie Cardinal, come noi lo conosciamo, è riducibile a reazioni di tipo deterministico, di natura psichica o psicosoinatica, o c’è qualcosa nel suo agire esistenziale che scavalca e trascende l’agire come reazione, dove l’amore e l’odio so sok reazioni deterministiche, per porsi in un’altra dimensione dove l’agire si presenta come azione d’amore o di odio, che però sono frutto della libertà e non della nectì deterministica?

    Secondo: Entrando più in cuIKreto, ci chiediamo: la decisione di Mane Cardinal di aùare in analisi e di continuarla sino in fondo, con tutta la sofferenza e sconvolgimento che ciò ha rappresentato per l, è una reazione deterministica dettata dal suo malessere o è una decisione libera voluta dal suo Io-Persona?

    Terzo: La vita di Marie Cardinal che si è sviluppata nel grembo materno, nonostante i tentptivi abortivi della madre, è frutto della reazione ddl’istinto di vita oi sopravvivenza e dunque reazione deterministica, ovvero è frutto di una decisione libera dell’Io-Persona di Marie Cardinal, che decide di amarsi e decide di vivere piuttosto che decidere di odiarsi e dunque lasciarsi distruggere piuttosto che resistere alla distruttività della madre?

    Quarto: Perdonare e amare la madre, dopo averla odiata per anni e per anni aver desiderato la sua morte, è frutto di una reazione deterministica dovuta ad un istinto da noi ancora sconosciuto, o è frutto di una decisione profonda e libera che sorge dalla profondità dell’Io-Persona che, dopo aver esplorato e vissuto la dimensione dell’odio, si autotrascende e si trasforma in una dimensione di amore, che è frutto della libertà e non della necessità?

    Quinto: Il perdono e l’amore, come frutto della dimensione libera dell’Io-Persona di Marie Cardinal, si realizzano solo al momento del suo pianto sulla tomba della madre o essi sono già contenuti nell’Io-Persona dello stato embrionale, durante la fase prenatale, come presupposto per lei essenziale, perché l’amore possa prevalere sull’odio, sin da quel momento, e dunque perché la vita possa prevalere sulla morte, e nella vita intrauterina e nella vita successiva di adulta?

    Sesto: Se pure la vostra mente fosse abituata e disponibile ad accettare di considerare la libertà una dimensione possibile dell’essere umano adulto, non posso attendermi da voi che lo siate altrettanto per accettare di considerare la possibilità dell’esistenza di una qualche libertà, quella di amare o di odiare, sin dal primo momento della vita intrauterina. Questa considerazione è importante, ma io vi incalzo con un’altra domanda: se vi è impossibile accettare la categoria mentale dell’esistenza della libertà sin dalla vita intrauterina, questo non è dovuto ancora una volta al condizionamento a cui siamo stati sottoposti per secoli della teologia, per la quale gli esseri umani sono dotati di libertà solo a partire dall’età di ragione?

    Credo che solo se riconoscerete questa dipendenza della vostra mente dalle affermazioni dogmatiche della teologia, potrete decidere di liberarvene e di considerare la possibilità di assumere nuove categorie mentali.

    Settimo: Se mai lo faceste, questa azione di sottrarvi consapevolmente al dogmatismo teologico sarebbe frutto di una reazione deterministica o sarebbe da considerarsi il frutto di una decisione libera del vostro Io-Persona, da nient’altro sollecitato che dal desiderio di una migliore conoscenza della verità?

    Ottavo: Sulla scia di Einstein, che postula la relatività del tempo e dello spazio, potreste rinunciare all’assolutismo concettuale che pone una barriera assoluta tra il tempo della vita intrauterina e il tempo della vita post-uterina, non più concependole come due realtà assolutamente diverse e senza alcun nesso di continuità tra di loro, ma considerandole come un’unica e sola realtà, la realtà unica del tempo esistenziale dell’uomo, scandita solo da pause e non da fratture assolutizzate, come avviene per il tempo musicale di una partitura?

    Vi ho bombardato di domande e certo avevo uno scopo ben preciso nel farlo.

    Spero di essere riuscito ad agitare le vostre menti non per creare un consenso alle mie idee ma per creare una controversia sulle mie idee e in particolare sulla sconcertante idea che esista un Io-Persona, il quale è capace, sin dalla vita intrauterina, di scegliere con tutta libertà se amarsi e realizzarsi come Persona o se odiarsi e distruggersi, in mille modi diversi, incluso quello, il più terribile inventato sinora, della distruzione atomica.

    La terra è certamente l’utero del sistema solare e probabilmente potrebbe essere l’unico utero di tutta l’intera galassia a cui appartiene il nostro sole.

    Io non vedo molta differenza tra le decisioni degli uomini di distruggere la vita sulla terra e la decisione di un feto di distruggere la sua vita entro l’utero materno.

    E nessuno può onestamente pensare che la decisione di distruggerci atomicamente sia una reazione deterministica e non già una scelta libera carica di grave e totale responsabilità.

    Resta, invece, una questione controversa, e dunque da dibattere, se anche nell’utero materno esista un Io-Persona dotato di uguale libertà e responsabilità, capace di scegliere se abbandonarsi alle reazioni distruttive dell’Io-Psichico e dell’Io-Corporeo, o se decidere, invece, di imbrigliarle e di trascenderle, con un atto di amore, per potersi poi realizzare come Persona.

    Il mio concetto di Persona, non è un concetto assoluto, ma è un concetto storico-evolutivo.

    Da circa 40.000 anni, sulla terra, vive un uomo che gli antropologi hanno chiamato: Homo sapiens sapiens.

    Il problema che la storia oggi ci pone è di sapere se è in corso un’evoluzione dell’uomo che io sono solito indicare con questi termini: passaggio dall’Homo sapiens sapiens all’Homo Persona sapiens, e un secondo problema che noi possiamo porci è di sapere se questo passaggio deve essere compiuto deterministicamente dalla storia o liberamente e progettualmente accettato e sviluppato da noi come soggetti della storia, cioè come Persone dotate di creatività, di libertà e di responsabilità, inseriti e non gettati nel mondo e nell’attuale contesto storico.

    Antonio Mercurio

     


    Note
    (1) Conferenza letta al Congresso Internazionale dell’ASPI sulla vita prenatale (Merano, novembre 1983) e al 2° Congresso mondiale di Psichiatria Dinamica (Monaco di Baviera - Dicembre 1983).

    Pubblicata su "Gli Ulissidi - il teorema e il mito per navigare da un universo all'altro" di Antonio Mercurio, Ed. S.U.R., 1997

    Dr.ssa Daniela Attili • Psicologa • Psicoterapeuta • Antropologa esistenziale
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