All’inizio, quando ho cominciato a leggere i Tarocchi, mi concentravo sui problemi di chi mi consultava e consideravo certe malattie come entità autonome. Poco alla volta mi sono invece reso conto che ogni problema aveva la sua origine nel parto: il modo in cui si viene messi al mondo influisce infatti sul destino personale in maniera determinante. Più tardi ho però capito che studiare il parto non bastava: occorreva sapere come era stata la permanenza nel ventre materno. La gestazione forse non era quel paradiso di cui si parla, anzi, poteva addirittura costituire, in sé, un inferno. Possedere un poprio posto nel mondo è una sensazione strettamente legata al luogo che si occupa durante i nove mesi prenatali.
Per capire meglio questo periodo mi è sembrato quindi necessario conoscere la vita della madre e il modo in cui essa aveva percepito il padre del suo bambino. Ciò presupponeva un esame dell’ambiente in cui aveva vissuto quella donna, un esame dei suoi genitori e dei suoi nonni, oltre a uno studio dei genitori e dei nonni dell’uomo con cui aveva generato. Ho chiamato questo studio "psicogenealogia". In primo luogo, ho posto l’accento sull’aspetto psicologico dell’albero psicogenealogico, dato che mi è parso subito evidente che, tale albero era alla base di qualunque nevrosi, ossessione, cancro, tubercolosi, mania ecc. Ciascuno eredita una marcata impronta psicologica che pesa su di lui come una trappola, finché non ne è consapevole.
Ho visto, per esempio, un albero genealogico nel quale l’uomo non esisteva per tre o quattro generazioni: ogni volta che il primogenito arrivava all’età di otto anni, il padre moriva e il bambino si trasformava nel "marito" di sua madre. In questa famiglia, quindi, i maschi erano considerati un disturbo: una situazione del genere delinea strane configurazioni in chi la sperimenta.
In seguito mi sono accorto che anche gli aspetti culturali, economici e politici dell’albero genealogico avevano un ruolo importante. Conoscere il livello culturale della famiglia nel corso di varie generazioni, sapere se una professione si è trasmessa di padre in figlio, osservare l’impatto delle guerre nella storia familiare, l’incidenza di nazionalità, radici sociali, religioni ecc., forniva dati interessanti e indispensabili per capire l’influenza dell’albero genealogico su un essere umano.
Ho conosciuto una persona il cui padre era musulmano e la madre ebrea. Entrambi i genitori avevano ripudiato le proprie origini, e di conseguenza il figlio era carente di cultura, di nazionalità e di radici. Non credo che sia indispensabile legarsi a una determinata nazionalità o a determinate radici: sono per quella libertà simboleggiata perfettamente da un personaggio dei Tarocchi, I Matto. Ma per approdare a tale libertà è in ogni caso necessario aver conosciuto e onorato le proprie radici: se non si sa da dove si viene, non si può sapere dove si va. Tagliare i ponti con il passato non significa ignorare le nostre origini, e conoscere le nostre origini non significa legarsi a esse.
Così ha assunto via via sempre maggiore importanza l’aspetto sociologico dell’albero genealogico. Non possiamo infatti studiare una famiglia senza analizzare la società in cui è inserita. Poi, mi sono reso conto che esiste, al di là degli aspetti psicologici e sociologici, un aspetto spirituale: alle radici di qualsiasi malattia, depressione e problema incontriamo infatti un mito, un mito dimenticato che sta alla base di tutto, della religione in primo luogo, ma anche della società.
Indipendentemente dal fatto di essere ebrei, musulmani, buddhisti, taoisti o atei, vivendo in Occidente siamo influenzati dal mito che ha impregnato di sé tutto il mondo occidentale: il mito ebraico-cristiano è alla base della nostra vita sociale, economica, politica, intellettuale, sessuale e spirituale.Jung, che ne ha parlato in modo molto approfondito, ha studiato l’interdipendenza tra il mito e l’inconscio profondo, arrivando alla conclusione che non pssiamo approdare alla nostra realizzazione se non costruiamo una "divinità interiore".
Per completare queste informazioni mi è sembrato indispensabile rileggere questo mito alla luce delle conoscenze odierne, dato che ci è stato trasmesso da generazioni che non possedevano il livello di comprensione odierno. Il mito è un simbolo e la sua interpretazione varia in funzione del livello di chi lo interpreta. Ed è un’interpretazione sbagliata e malata quella che è giunta fino a noi e tuttora ci coinvolge.
Se passiamo il Vangelo al setaccio del nostro grado di comprensione attuale, tutti i dipinti religiosi ci sembreranno "primitivi". Gli artisti che si sono applicati a questi temi obbedivano alle direttive morali di un periodo ormai passato; oggi tali direttive non ci riguardano più e dobbiamo quindi proiettare sui testi sacri uno sguardo che rifletta il nostro livello di evoluzione e di conoscenza.
Ci sono due modi di accostarsi al mito: il primo consiste nel cercare di fissarlo come una verità e quindi intraprendere ricerche storiche, geografiche e sociali per dimostrarne la realtà (è quello che fanno i religiosi); il secondo consiste nell’accettare il mito come un simbolo e tentare di penetrarne il mistero. In quest’ultimo caso non si tratta di stabilire se sia reale o no, quanto piuttosto di immergersi in una nuova interpretazione, a margine di tutti i fondamenti religiosi tradizionali, per ricercare una verità interiore e riconoscere la nostra anima.
Viviamo in un mondo materialista, dove la morale è davvero la grande assente: ecco un’altra delle ragioni che mi hanno spinto a esplorare il Vangelo. Le leggi che ci reggono non sono "morali"; la bontà non compare nelle loro coordinate e del resto sono promulgate per proteggere il più forte: firmare un contratto, per esempio, implica automaticamente che bisognerà sostenere avide battaglie per evitare di essere raggirati. Tutti i contratti si fondano di fatto sul furto: si tratta solo di vedere chi trarrà vantaggio dall’altro. Chi impone la propria forza è rispettato e onorato: ne ammiriamo l’intelligenza e il successo; la vittima, al contrario, è disprezzata perché si è lasciata ingannare.
Erriamo così in un mondo materialista costruito sul furto, la competizione, lo sfruttamento, l’egoismo... Tutto è predisposto in modo da impedire alla coscienza di svilupparsi, perché la coscienza disturba, confonde. Il sistema scolastico mantiene i bambini a un livello distante dalla presa di coscienza, un livello che impedisce al mondo di cambiare. Esiste una evidente cospirazione che tende a mantenere il mondo così com’è, su fondamenta prive di morale.
A sessant’anni, al tramonto della vita, gettiamo gli esseri umani nella pattumiera della società.
Li abbiamo abituati da sempre a quest’idea e, accettandola, gli individui vivono accompagnati dall’angoscia di raggiungere questa età critica.
Ci ritroviamo così all’interno di una società criminale che distrugge l’essere: la cospirazione contro il risveglio. Che fare? Mi sono chiesto se mettersi a lavorare per "guarire" il mito potesse contribuire a creare una nuova morale in grado di raggiungere la coscienza collettiva. Questa morale non sarebbe basata sulle nozioni di bene e male, ma su quella di bellezza.
In ogni caso, quale morale possiamo costruire vivendo in mezzo a persone che disprezzano lo spirito e coloro che lo sviluppano? Un individuo è considerato un nemico dal momento in cui si azzarda a coltivare una sensibilità, una coscienza, una creatività proprie, dal momento in cui osa "convertirsi in se stesso".
Che fare di fronte a questi individui che hanno la pretesa che il mondo appartenga loro perché sono la maggioranza? Che fare di fronte a queste persone la cui filosofia consiste nel vender caro ciò che hanno ottenuto a poco prezzo, gente sempre in competizione che cerca di umiliare gli altri in tutti i modi possibili? Che fare in un mondo che si prende gioco di ogni essere e della sua genialità, un mondo che non ha bisogno né della coscienza né del cuore di ciascuno? Un mondo che ci vuole compratori frustrati.
Questo è il problema che mi si è posto, il motivo che mi ha spinto a studiare il mito cristiano. Dico <mito> rivolgendomi ai non credenti; i credenti possono intendere <religione>.
Il mito cristiano, allo stesso modo dei Tarocchi, non può essere ridotto a una visione determinata, fissa, prestabilita. Funziona come un simbolo, pertanto non può essere colto intellettualmente. Nei Tarocchi l’errore consiste nel pietrificare ogni Arcano in una definizione rigida e chiusa. Ogni carta è invece un mistero insondabile che può avere mille interpretazioni diverse. Per imparare i Tarocchi bisogna impregnarsene finché cominciano a entrare in relazione con la nostra emotività. A partire da quel momento le carte esercitano un’azione su di noi: solo allora si può parlare di ciascun Arcano al livello della nostra ispirazione e proiettandovi ciò che siamo. L’importante è capire che quello che vediamo corrisponde a una proiezione di noi stessi: i Tarocchi funzionano come uno specchio. Allo stesso modo, il mito funziona come uno specchio che descrive avvenimenti inconsci. La sua lettura deve passare tramite il linguaggio emotivo, il linguaggio del cuore.
La memorizzazione è un cammino adatto per arrivare a questo linguaggio. Memorizzare il mito, così come memorizzare i Tarocchi, permette di visualizzarli e poi di viverli.
La mia prima preoccupazione, studiando il Vangelo, è stata quella di esaltarlo, alla ricerca delle più belle interpretazioni possibili. Sono perfettamente cosciente che si tratta di un lavoro infinito, perché si potrà sempre trovare una bellezza più grande. È come per i Tarocchi: bisogna cominciare e non desistere mai. Nella misura in cui coltiviamo questo studio arricchiamo le nostre vite e impercettibilmente cambia tutto in noi: il modo di muoversi, di mangiare, di pensare, di sentire, di fare l’amore, di partorire, di creare, di morire... Se non lo interrompiamo mai, questo lavoro produrrà un cambiamento.
Il mio modo di procedere non appartiene a nessuna scuola.
Con i Tarocchi ho imparato a guardare senza pregiudizi: prima di lanciare qualsiasi idea bisogna anzitutto vedere. È la condizione sine qua non per elaborare una teoria valida.
Osservando gli Arcani ho capito che ciascuna carta, per il suo aspetto simbolico, è una forma aperta sulla quale chiunque può applicare la propria immaginazione. Così, per esempio, possiamo interpretare negativamente la carta chiamata La Torre e dire che si tratta della torre di Babele, o del castigo della vanità, dell’incidente, della rottura di un legame di coppia, ma possiamo anche dire che questo Arcano significa la danza intorno al tempio, la ricezione della parola sacra, l’atanor (forno) alchemico o la presa di possesso di un terreno, un omaggio alla vita divina ecc.
Allo stesso modo il Vangelo è una specie di forma aperta che permette innumerevoli interpretazioni. Il suo messaggio è misterioso e occulto. Come con l’Antico Testamento, quando si inizia a penetrare in profondità nel Vangelo ci si trova davanti a testi di una tale complessità, che sembra davvero impossibile che abbia potuto scriverli un essere umano. Piuttosto, si direbbe che si tratta di una sorta di opera divina "ricevuta" dall’uomo e a lui molto superiore. D’altra parte, queste opere sono superiori a tutte le interpretaziom che se ne possono dare.
Ho affrontato ogni capitolo come se fosse un Arcano dei Tarocchi. Ne ho osservato tutti i dettagli. Ho cercato di immaginare tutto quello che vi succedeva come se vedessi un film e poi, nel momento in cui me ne ero ben impregnato, lasciavo parlare la mia intuizione senza sapere dove mi avrebbe portato.
L’ideale sarebbe stato studiare il testo nella versione originale, però sono ricorso alla traduzione ecumenica, dato che molti gruppi religiosi si sono accordati su questo testo.
Ho intrapreso questo lavoro di rilettura con totale umiltà e senza voler offendere coloro che conoscono già il Vangelo. D’altra parte, credo che quando si ama un argomento non ci sia niente di più bello che sentirne parlare.
Spero di contribuire, con questo studio, alla presa di coscienza collettiva ormai imminente. Ci sarà, ne sono certo, anche se forse l’umanità non cambierà in modo decisivo fino al XXII secolo. Cosa succederebbe se Cristo si presentasse oggi? Il Cristo è un Messia: se viene, è per salvare l’umanità. Nessun individuo può salvarla adesso. Se il Cristo viene, sarà un Cristo collettivo. Sarà l’illuminazione di tutta l’umanità. Se l’umanità non si illumina, senza l’eccezione di una sola persona, finirà. Il Cristo è collettivo oppure non è.
E cos’è l’uomo? L’uomo deve capire che il suo corpo è l’Universo, che il tempo è ciò che accade a lui, il tempo intero, e che la sua coscienza è parte della coscienza cosmica. Dobbiamo capire, anche se non lo vivremo, anche se moriremo prima di vederlo, che l’uomo popolerà le stelle, e vivrà tanto quanto l’Universo — merita di vivere altrettanto —, e costituirà una coscienza globale e sarà la mente del cosmo. Se non abbiamo questo ideale, non vale la pena di vivere. Dobbiamo avvicinarci a questo ideale a poco a poco. Noi non vedremo l’avvento della Coscienza Cosmica; non vedremo i frutti di ciò che stiamo seminando. Dobbiamo sacrificarci, perché non li vedremo. È questo il senso del sacrificio che ci insegnano i Vangeli: l’assoluta umiltà necessaria per agire pur sapendo che non vedremo i risultati.
L’errata lettura del mito ci insegna a vivere nel più grande egoismo: sporchiamo il pianeta e non ce ne importa perché non assisteremo alla catastrofe; sporchiamo i nostri corpi e ci autodistruggiamo per farla finita "al più presto" e non vedere i risultati delle devastazioni che stiamo compiendo. Ci importa solo il tempo che calcoliamo di stare qui e non ci preoccupiamo del futuro, nemmeno di quello dei nostri figli; ci tranquillizziamo vagamente pensando che si arrangeranno, come abbiamo fatto noi, per "tirare avanti". La vera umiltà invece consiste nel lavorare e nell’agire in ogni momento, credendo nell’umanità futura, convinti che un giorno si aprirà al cosmo come un fiore, una mattina che noi, tu, io, non potremo vedere.
Dobbiamo pensare a ciò che verrà e amarlo. Dobbiamo agire credendo nell’umanità futura. Lavorare per essa, instancabilmente. Imparare ad accettare il sacrificio. Perché altrimenti quel cambiamento non si verificherà. Noi pianteremo i semi, noi lavoreremo, noi faremo avanzare l’umanità verso la sua realizzazione.
Come nascono i miti? Dapprima qualcuno li sogna; poi quei sogni diventano canti; in seguito qualcuno li trasforma in poemi; infine, qualcun altro li scrive nei Libri Sacri. E da dove provengono quei sogni iniziali? Forse dalla divinità stessa (se siamo credenti), o dagli archetipi (se non lo siamo). Così come il ragno tesse tele, noi fabbrichiamo sogni. È questo il mito fondatore, poiché sostiene tutta la società. E contro i sogni si erige il potere, l’egoismo.
Perciò mi sono riproposto di leggere il mito fondatore in senso letterale ogni frase del Vangelo è perfetta e contiene un insegnamento. Il mio progetto è stato quello di guardare questo testo con l’occhio dell’artista.
Mi sono proposto di essere fedele alle scritture, di non mettere in dubbio le loro affermazioni, di non cercarne i lati negativi né di esprimere la minima critica distruttiva, di non ferire la sensibilità religiosa, di non essere blasfemo e, soprattutto, di esaltare il testo sottolineandone la bellezza. Io non posso cambiare nemmeno una lettera del mito; posso, tuttavia, modificarne l’interpretazione, porla al nostro attuale livello di coscienza e nella prospettiva dell’umanità futura.
Perché il mito fondatore è avvolto da nuvole nere: le interpretazioni arcaiche di questo messaggio offerte dalle sette. Oggi quelle interpretazioni stanno liquidando l’umanità: provocano guerre, stragi familiari, cancri in tutti gli organi - soprattutto quelli sessuali -, pervertono l’espressione umana, annichiliscono la felicità, creano povertà..
Farò un esempio, purtroppo ne esistono tanti. Una delle innumerevoli coseguenze di una cattiva lettura del mito, una delle più nefaste, è quella che io chiamo "la sindrome del figlio perfetto". Esaminiamo un albero genealogico: se nel corso di varie generazioni si ripetono i nomi di Giuseppe e Maria, la cosa più probabile è che questa sindrome si presenti in modo ciclico. Questi due nomi possono essere "nascosti", per esempio un Giuseppe Emanuele sposato con una Rosa Maria, ma la sindrome si presenterà comunque nel primogenito; non lo chiameranno necessariamente Gesù: può essere benissimo Cristiano, Salvatore, Emanuele, Pasquale, Cristoforo o qualsiasi altro nome con risonanze cristiche. Se è maschio, i genitori esigeranno da lui che sia perfetto: dovrà essere saggio a sette anni, incolume a quindici, irreprensibile a trenta, ed è molto probabile che si ammali e muoia a trentatré anni, vittima di una delle atroci malattie della "modernità".
Questo essere umano si sacrificherà incoscientemente perché è stato condizionato in tal modo dall’albero genealogico e dalla pessima lettura del mito come sessualità repressa. Se è femmina, tanto "peggio", perché in tal caso non le si chiederà nemmeno di essere perfetta: potrà soltanto essere la madre di un maschio perfetto (è il massimo cui può "aspirare") e a sua volta trasmetterà il ciclo e darà corso alla sindrome.
Il nostro mito fondatore è stato manipolato per metterci al servizio dello sfruttamento. Perciò quello che ho fatto è stato prendere questo mito e reinterpretarlo secondo una visione artistica, nella convinzione che l’arte sia terapeutica.
Viviamo nella paura. Ci soffoca soprattutto l’assillo economico. Gli animali hanno paura, è la loro reazione istintiva di fronte all’imprevisto: è la caratteristica dell’animale, non dell’essere umano. Nei Vangeli, quando un angelo si presenta a qualcuno dice: "Non avere paura", il che significa porre la persona nello stato umano. Oggi viviamo in una spaventosa bestialità economica. Una lettura positiva del mito inizia esattamente così, con un "non avere paura", per affrancarci dall’animalità in cui viviamo e collocarci nella prospettiva della nostra umanità presente e futura.
Alejandro Jodorowsky
Introduzione del libro "I Vangeli per guarire" di Alejandro Jodorowsky, ed. Mondadori, 2003