Locandina Z la formica

     
    LocandinaFilmZlaFormica

    Corso per Responsabili di Ludoteca
    Modulo di Antropologia Personalistica Esistenziale
    Dal saper fare al saper essere

    Docenti: Daniela Attili, Carlo Michele Cortellessa

    Lettura del film "Z la formica"

    Per un punto passano infinite rette
    Per un sogno passano molte interpretazioni
    Per un film molteplici possono essere i piani di lettura
    Questo è quello che noi vi proponiamo

     

    Alla scoperta dei passaggi fondamentali per coniugare il "saper fare" con il "saper essere" in quanto singole persone, e dei passaggi che sono necessari per integrare il progetto personale con il progetto collettivo.

    Zeta (chissà come mai proprio Zeta!) è una formica, si potrebbe dire, con problemi di adattamento. Soffre. Soffre perché non si ritrova nel mondo che lo circonda, non si sente adatto al ruolo assegnatogli fin dalla nascita: l'operaio; e si arrovella tutto il giorno per trovare una risposta alla sua insoddisfazione.

    Si dibatte soprattutto tra il desiderio-speranza che esista un mondo migliore fuori dalla colonia a cui appartiene e la voglia di regredire e piangere in posizione fetale per il resto dei suoi giorni all'idea che la vita sia tutta lì.

    Una posizione depressiva che lo attanaglia in tutte le attività della giornata: mentre piccona il muro di terra, trasporta i blocchi da una parte all'altra della città formicaio, mentre è al bar a bere con il suo amico Wilber o parla con la sua compagna di lavoro Atzeca.

    Questa favola, come tutte le belle favole, ha un forte potere simbolico e ci parla, attraverso una acuta allegoria, del conflitto tra individuo e collettività, sia nel suo aspetto interiore (intrapsichico) che esteriore (relazionale-sociale), che si esprime nel film, come nella realtà, attraverso una lotta di potere e di sopraffazione capeggiata da una nostra parte interna su l'altra , ovvero da uno o da un esiguo numero di individui, a discapito di tutti gli altri.

    E’ la pretesa dell’assoluto, che afferma: “io sono il solo, l’unico, e gli altri non hanno nessun valore”, impersonata dal generale Mandibola, che utilizza l’energia degli altri asservita al suo progetto teomanico: una super-colonia dove non c’è spazio per l’imperfezione, la debolezza, la fragilità, l’imprevisto, la creatività e l’improvvisazione; dove chi non si allinea o rappresenta una minaccia all’ideale di perfezione (le truppe fedeli alla regina) deve essere eliminato.

    Zeta invece ci rappresenta ciò che accade nel nostro universo interiore, palcoscenico di lotte non meno aspre e devastanti di quelle che accadono fuori di noi.

    Nella prima sequenza Zeta confessa allo psicoanalista che il suo più grande problema è il super-organismo, che non considera i suoi bisogni (“che ne è dei miei bisogni?”) e davanti al quale si sente una nullità (“ma tu sei insignificante!” gli risponde l’analista).

    Qui la camera apre all’ interno del super-organismo e con suggestive immagini ci introduce nella miriade di individui-formiche nel dedalo di cunicoli brulicanti di fervido lavoro.

    E’ davvero impossibile non ritrovare in queste immagini il nostro affannato mondo reale! Masse di singoli che invadono strade, uffici, stadi, spiagge, campi. Sei miliardi di esseri che assolvono il compito della loro vita, e insieme, che ne tengano conto o meno, compongono e realizzano l’intero gruppo umano, così come milioni di formiche compongono e realizzano il formicaio.

    Per analogia si può infatti dire che ogni singolo uomo è una semplice cellula (naturalmente dotata di un suo progetto unico e irripetibile e della libertà di attuarlo o meno) di un più grande organismo che è la terra tutta, dotata di un suo progetto. Per superare il conflitto che può derivare da queste due affermazioni apparentemente contraddittorie, dobbiamo utilizzare un nuovo paradigma, detto olistico (o sistemico o reticolare) che ci indica che ciascun sistema è correlato agli altri, lo influenza e ne è influenzato, e può essere studiato contemporaneamente da due punti di vista: uno individuale e uno collettivo.

    Non c’è contraddizione a pensare che ciascuna cellula del nostro corpo sia libera di diventare o meno una cellula cancerosa e che contemporaneamente il nostro corpo nel suo insieme sia libero o meno di contrarre il cancro, oppure che ciascuna formica sia libera o meno di fare la sua parte ma che il formicaio nel suo complesso possieda un progetto, che può anche essere sconosciuto alle singole formiche, ma che viene perseguito dal loro insieme (si veda Hofstadter in “Goedel, Escher, Bach”).

    Ogni singola cellula (o formica, individuo, essere umano) ha un suo preciso posto, una funzione e una specificità che risulta indispensabile all’esistenza dell’intero organismo, proprio come accade per il corpo umano.

    Stiamo parlando del “Principio Organismico”, il quale prevede che ogni unità ha un suo valore che, se si armonizza con gli altri, crea una sinergia e livelli sempre più alti di complessità (cellula->tessuto->organo->sistema->organismo-> ...).

    Così, mentre l’abbacchiato Zeta si ritrova al bar a parlare tristemente dei suoi guai, lo “svitato a ore tre” fametica di un sogno impossibile, di un luogo paradisiaco dove regnano libertà e svago, cibo a volontà e assenza di obblighi:
    Insettòpia.
    Sarebbe bello se fosse vero! Ma sembra tanto l’elucubrazione di un visionario che fornisce la strada per l’impossibile.

    Intanto anche la principessa Bala, dall’alto del Palazzo Reale che domina la Colonia, è alle prese con la sua identità, e guarda piena di invidia lo “spensierato” mondo dei comuni mortali. Chiede a sua madre, la regina, “perché io sono qua reclusa mentre gli altri lì sotto si divertono?, perché io devo sposare Mandibola con il quale non ho nessuna affinità?” e la saggia Regina risponde: “nel formicaio ognuno ha il suo ruolo: io, te, gli operai, i soldati”.

    Condizioni esistenziali anche molto diverse possono generare comunque insoddisfazione e frustrazione. Possiamo rimanerci intrappolati a vita oppure decidere per una trasformazione. Ma da dove possiamo attingere energia per trasformare la nostra condizione? La favola di Zeta sottolinea la via dell’amore e la via del sogno, perché solo chi ha un sogno, un progetto da realizzare, può convogliarvi la sua energia ed evolvere.

    .. Nel film, l’amore è descritto come un innamoramento-passione impossibile di Zeta verso la principessa, ed è qui che lui trova la spinta per l’azione creativa (improvvisa il ballo fuori dalla massa), il coraggio di tentare l’impossibile (si sostituisce a Wilber per rivedere Bala), la forza della decisione (la ricerca di Insettopia): in sintesi, la forza e il coraggio di uscire dalla lamentela e dalla passività ed agire secondo ciò che sentiamo profondamente vero.

    Noi interpretiamo l’innamoramento dei due personaggi, irto di ostacoli e fruttuose sincronicità, come lo scontro-incontro e l’unificazione di nostre parti interne, che percepiamo normalmente scisse e inconciliabili (perché seguiamo il pensiero lineare dell’o-o) mentre possono essere integrate utilizzando un pensiero circolare (e-e): maschile-femminile, paura-coraggio, spinta esplorativa-rinuncia passiva, egoismo-altruismo, pretesa-richiesta, avidità-reciprocità (“riportami alla Colonia, operaio” comanda Bala; “non ho bisogno di nessuno” dice orgogliosamente Zeta ... poi entrambi dovranno ricredersi).

    Anche l'amore per un sogno-progetto ci può fornire l'energia per l'azione, per realizzare la sintesi degli opposti, per accettare gli elementi di partenza, qualità e limiti personali, avvenimenti della nostra storia, esperienze, vittorie, sconfitte, dolori e gioie ... per trasformarci; contemplando anche la possibilità di cambiare idea all'ultimo momento come fa il Colonnello Cuttel.

    Zeta è maldestro e pieno di paure ed insicurezze, è ingenuo e mite, ma proprio da questi aspetti riesce a trarre la sua forza, perché ha un progetto individuale (amare e migliorare la qualità della sua vita) e perché ha un progetto collettivo (salvare la colonia e migliorare la qualità della vita di tutti).    .    ,

    Quando tutto sembra perduto ecco che la forza di "Zeta l'insignificante" si trasforma in idea geniale: costruire una scala fatta da tutti, uno sull'altro, che consentirà di uscire dal formicaio inondato, salvarsi e ricostruire.

    Per realizzare questa impresa è indispensabile la cooperazione di tutti, ognuno con la sua specificità contribuirà allo scopo: Wilber il forte, sorreggerà la colonna che si innalza, il colonnello Cutter userà le sue ali per recuperare Zeta caduto nell'acqua e con la sua autorevolezza darà ordine alle truppe di aiutare tutti a mettersi in salvo mentre ogni "anonimo segmento" di superorganismo risulterà un valore indispensabile al compimento dell'opera. "Ce l'hai fatta" dicono a Zeta "ce l'abbiamo fatta" risponde lui!

    Certamente il vantaggio di un'analogia è di semplificare ciò che in realtà è molto più complesso da comprendere ed attuare; nella nostra realtà la coralità espressa dal film non è né così immediata né tantomeno automatica, infatti va costruita passo dopo passo intorno ad un progetto che scaturisce da un sogno, considerando che anche le migliori intenzioni si scontrano con gli aspetti negativi nostri e degli altri: la paura di mostrarci per quello che siamo, l'ideale di perfezione, le proiezioni, le rivalità, le gelosie e l'invidia non riconosciuta che diventa svalutazione distruttiva, e molto altro ancora.

    Se ci facciamo sopraffare dai conflitti interiori e relazionali negandoli o reagendo proiettivamente contro l'altro (attribuire ad altri i nostri limiti, le nostre responsabilità) nessuna coralità potrà emergere; viceversa riconoscendo e rispettando ciò che siamo e ciò che sono gli altri, in tutti gli aspetti, valorizzandoci e valorizzando, la coralità prende forma e, fuori dal senso di colpa nevrotico di non essere perfetti, emerge il progetto di coltivare la perfettibilità se stessi nello scambio e nella collaborazione, dove il successo di uno diviene conquista di tutti.

    E' occasione di riflessione profonda l'affermazione del nostro "eroe" nell'ultima scena del film: "Finalmente sento di aver trovato il mio posto. E' proprio da dove avevo cominciato, ma la differenza è che adesso l'ho scelto io".

    Dr.ssa Daniela Attili • Psicologa • Psicoterapeuta • Antropologa esistenziale
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